Giovani e professione: appunti per un’inchiesta
Massimo Peota, Riccardo Onnis
2019
Architettura, Società | Architecture, Society
Rivista Ordine Architetti PPC Trento
La condizione del giovane architetto nel territorio italiano è tra le più difficili nel panorama delle professioni lavorative[1]. I fattori che hanno contribuito – e contribuiscono tuttora – all’attuale stato delle cose sono diversi e non sempre immediatamente evidenti.
La depressione del mercato del lavoro, esito della crisi del 2008-2009, ha prodotto una delle situazioni più contraddittorie di sempre: neolaureati e giovani professionisti che, cresciuti in un contesto di welfare positivo, si son ritrovati di punto in bianco immersi nella giungla di quelle che ormai sono state ampiamente documentate come forme di sfruttamento[2]. Ben presto infatti il giovane architetto vede che il mondo del lavoro è in verità un universo di cosiddetti “tirocini formativi” – a titolo gratuito o sottopagati[3] -, rimborsi spese e pagamenti in nero; l’unica alternativa per la legalità lavorativa ed il versamento dei contributi per la pensione è diventare un libero professionista[4] per poter avviare una collaborazione con uno studio di progettazione. Ciò è estremamente discriminatorio, perché se è vero che molti neolaureati desiderano lavorare nel mondo dell’architettura, è anche vero che non tutti hanno la vocazione per essere “imprenditori di sé stessi”, né è realistico pensare che tutti debbano farlo. In questo senso anche l’università ha una grande responsabilità in relazione al modo in cui costruisce la percezione della disciplina nello studente di architettura. Omettere tali informazioni sulla libera professione nelle fasi pre e post laurea e non lasciare alternative diverse per chi cerca di immettersi nel mondo del lavoro non si allontana molto dal commettere una truffa. Ciò detto, le collaborazioni che così si instaurano sono spesso fittizie: la giovane partita iva è pressoché sempre costretta a concordare una presenza full-time in sede[5] per ottenere il lavoro. L’Italia, come è noto, è un Paese caratterizzato principalmente da piccole-medie imprese e il settore dell’architettura non fa eccezione. Da una parte, molti piccoli studi che ancora ce la fanno spesso non hanno né le condizioni né la continuità lavorativa per poter assumere anche solo un dipendente; essi trovano perciò nella collaborazione esterna l’unico mezzo d’emergenza per rispondere ad un sovraccarico di lavoro. Dall’altra però c’è chi si approfitta di quest’anomalia tutta italiana, potendo affidare il carico di lavoro al collaboratore “esterno” nei confronti del quale – non dovendo stipulare nessun contratto per via della partita IVA – il datore di lavoro è libero da vincoli giuridici. Nel migliore dei casi, dunque, fra quest’ultimo e il giovane professionista si instaura un corretto rapporto professionale nel quale sono rispettate le modalità di lavoro stabilite e la somma pattuita con la frequenza concordata. In una situazione ordinaria, invece, si alternano: mobbing, cambi di accordi presi, straordinari che si accumulano[6], stravolgimento degli impegni personali in base a richieste dell’ultimo minuto, conseguente impossibilità pressoché totale di svolgere qualsiasi altra attività all’infuori del proprio lavoro[7], prestazioni a titolo gratuito[8]. Il quadro che emerge è quello di un’occupazione caratterizzata dagli obblighi di un lavoratore dipendente, senza però le tutele e benefici di cui quest’ultimo gode per compensare l’obbligo di presenza di cinque giorni su sette. L’esito di questo sbilanciamento nei rapporti di forza – possibile proprio per l’assenza di un contratto di lavoro – ha permesso il riemergere in nuova veste di quel rapporto operaio-padrone del XIX secolo. I “liberi” professionisti che lavorano in queste condizioni non hanno nessuno strumento per mettere in discussione tale rapporto di lavoro[9]. Infatti, a meno di un’epifania di olivettiana ispirazione da parte del titolare, non rimane che un’unica alternativa per porre fine a questi episodi: abbandonare il lavoro e tornare disoccupati. E ciò senza alcun sussidio di disoccupazione, ma con gli obblighi fiscali che invece rimangono saldamente invariati[10]. Dal punto di vista del datore di lavoro l’eventuale “licenziamento” (si fa per dire, perché tale non è vista l’assenza di contratto) difficilmente costituisce un problema: per riempire il posto vacante, egli può scegliere tra uno qualsiasi dei tanti curriculum inviatigli dal numeroso esercito di riserva e che – oggi è evidente – è ben lungi dall’essere un’astrazione filosofica[11].
A questo punto è doveroso fare dei distinguo: se è vero che moltissimi approfittano del vuoto giuridico della normativa italiana, ci sono ancora degli architetti che possiedono un’etica del lavoro e col loro esempio difendono e promuovono la dignità della professione in Italia. In questo contesto il Trentino si colloca in una situazione che, paragonata al resto della penisola, può definirsi ancora positiva. L’associazione giovani architetti del Trentino ha indagato e raccolto dati sulla situazione dei giovani professionisti all’interno della provincia, definendo un quadro tramite un campione di circa 65 professionisti su 299 iscritti all’albo dell’ordine degli architetti di Trento sotto i 40 anni. Il campione racchiude gli attuali iscritti all’associazione, simpatizzanti ed ex iscritti negli anni precedenti. Il risultato dimostra che seppur la maggioranza degli intervistati lavora come effettivo libero professionista o come dipendente con regolare contratto, almeno il 35% dei professionisti opera ancora nel limbo della collaborazione a partita iva nelle modalità sopra descritte. Se questa percentuale sia destinata a diminuire o aumentare rimane un’incognita. A coronamento di queste considerazioni si aggiunge un ultimo elemento, il quale rende il processo verso l’indipendenza economica e professionale tanto fattibile quanto una scalata sull’Himalaya. Escluse infatti quelle poche realtà dove ancora esiste un’etica lavorativa, la giovane partita iva viene molto spesso privata – oltre a quanto precedentemente descritto – anche del riconoscimento professionale[12]. Burocraticamente invisibile, per quanto egli sia la manodopera attraverso cui il progetto prende forma e contribuisca non di rado ad un suo miglioramento, non ha praticamente mai alcun riconoscimento ai fini del raggiungimento dei requisiti professionali necessari per accedere a più alte opportunità di carriera e occasioni progettuali.
A lato di queste difficoltà più comuni ai nuovi professionisti che entrano nel mondo del lavoro, vanno considerate poi quelle non meno spinose di coloro i quali riescono ad essere dei “reali” liberi professionisti. Il campione raccolto mostra che in Trentino la pratica della libera professione è la scelta adottata da quasi la metà degli intervistati. Potrebbe essere illuminante capire se vi sia una certa “ereditarietà”, come evidenzia la ricerca “Giovani Architetti e Crisi” promossa dall’ordine di Torino nel 2011, oppure se la nostra regione abbia subìto meno danni e stia lentamente uscendo dalla crisi che in questi ultimi 10 anni ha colpito il Paese e in particolare la nostra professione.
Tralasciando i lavori per privati che provengono principalmente dalla capacità individuale comunicativa e imprenditoriale di creare legami, è opportuno invece analizzare i lavori pubblici in relazione all’adozione da parte della provincia della nuova legge provinciale n°2 del 9 marzo 2016 e del decreto del presidente della provincia n°13/88/leg. del 21 settembre 2018 e relativi articoli richiamati del d.p.p. n°9-84/Leg dell’11 maggio 2012.
Nello specifico, la questione riguarda l’affidamento degli incarichi sotto soglia per i quali è stato introdotto un metodo di sorteggio tra tre professionisti.
L’analisi deriva direttamente da alcune esperienze dirette dei membri dell’associazione e dal confronto sul tema con un rappresentante dell’ordine. Non si tratta perciò di un rapporto esaustivo sul decreto, ma di un ragionamento sulla base di quanto percepito fino ad ora e volto a innescare un dibattito costruttivo su un procedimento che già denota dei miglioramenti soprattutto per quanto riguarda la trasparenza e la rotazione.
Analizzando le parti del testo di legge e dei decreti, emergono degli elementi positivi condivisibili, come “…Il progetto assicura il migliore rapporto qualità/prezzo della prestazione di lavori, di servizi o di forniture… “, o ancora “Le amministrazioni aggiudicatrici promuovono la qualità delle opere pubbliche, anche attraverso lo strumento del concorso di progettazione, valorizzando l’elemento architettonico .”
Fino a qui tutto bene, come diceva Hubert Koundè nel film l’odio di Mathieu Kassovitz. Sorge però una domanda: la qualità a cui si fa riferimento come è traducibile nella realtà?
“Qualità è competizione” è la felice sintesi formulata dall’architetto Andreas Kipar durante la recente conferenza Qualità come Territorio, organizzata dall’OAPPC di Trento il 27 Marzo 2019. Tuttavia come è possibile per un giovane professionista dimostrare le proprie capacità avendo a disposizione pochissimi concorsi di progettazione, soprattutto nel nostro territorio, considerando che troppo spesso l’iter progettuale rischia di vedersi bloccato in nome della “vera partecipazione” o di altre distorsioni ideologiche[13]?
In assenza di concorsi ci si chiede come sia possibile per un giovane architetto avere occasioni di accesso ad incarichi pubblici sotto soglia per dimostrare tale qualità se – come pare emergere – il criterio delle amministrazioni per la selezione del professionista si limita ad un database in cui curriculum e conoscenze individuali sono ridotti ad un elenco di opere e le capacità vengono equiparate al solo importo dei lavori.
In particolare, riguardo a quest’ultimo punto è noto che la legge e i regolamenti per gli incarichi sotto soglia non prevedono limitazioni circa i requisiti di fatturato o le opere pregresse per la scelta dei professionisti[14]. D’altro canto, il lavoro di selezione per un RUP o una amministrazione diventa veramente arduo se per compiere una scelta bisogna aver attentamente letto tutti i curriculum professionali di oltre un migliaio di candidati.
Si può perciò – senza aumentare i carichi di lavoro delle amministrazioni – trarre vantaggio da questo nuovo strumento informatico in modo da costruire e attuare un nuovo processo di selezione che non si riduca alla mera categoria di opere pregresse costruite? È possibile migliorare la digitalizzazione delle conoscenze acquisite attraverso appropriati parametri professionali, così da avere un “motore di ricerca” di tecnici preposto già in fase di selezione a far emergere gli elementi di qualità?
Se tutto questo è già previsto nel database provinciale, il suo funzionamento e l’applicazione della legge e dei regolamenti dovrebbero allora porsi come momenti di comunicazione estesi anche ai progettisti, al fine di creare un’appropriata base conoscitiva per la crescita e la formazione professionale.
Infine, a complicare maggiormente la situazione, vi sono alcune interferenze da parte della politica[15] e della Procura di Trento per la progettazione di opere pubbliche che interessano tutti noi professionisti senza distinzioni d’età.
La possibile attuazione di una “struttura unica per la progettazione” e il tema degli incentivi all’interno del decreto “sblocca cantieri” – secondo cui i pubblici dipendenti non si occuperanno più solo della programmazione e del controllo del processo di esecuzione delle opere pubbliche, ma anche della loro progettazione – confermano la tendenza del Governo ad alimentare quel processo di “statalizzazione della progettazione” che risulta per noi allarmante.
Nel territorio del Trentino inoltre la Procura sembra confermare le posizioni della politica; nell’intervento dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 il procuratore regionale ha dichiarato che: “Sono stati avviati numerosi procedimenti a carico di amministratori in relazione a incarichi a consulenti esterni: in particolare a geometri, periti, architetti…”.
Ci ritorna in mente ancora una volta Hubert Koundè…fino a qui tutto bene, è giusto e lodevole intraprendere azioni che evitino l’insorgere di rapporti di convenienza tra amministrazioni e progettisti. La questione però cambia nel momento in cui la dichiarazione successiva, contenuta nella relazione per l’anno giudiziario 2019, esprime un giudizio positivo sulle amministrazioni che avviano procedimenti che incoraggiano gli affidamenti interni soprattutto negli uffici tecnici.[16] Sembra qui implicita l’idea che il miglioramento passi attraverso la cancellazione delle relazioni con professionisti esterni per gli incarichi pubblici, il cui affidamento si auspica vada ai tecnici degli enti.
Probabilmente il ripetersi di episodi di negligenza nella progettazione e nei processi di assegnazione ha costretto la politica e la magistratura a queste scelte, per certi versi “estreme”. La conseguenza di questi provvedimenti è che graveranno soprattutto sulle spalle dei professionisti più giovani. I quali, evidentemente, non possono essere responsabili della situazione attuale, non di meno anche a causa delle irrisorietà di occasioni professionali precedentemente descritta.
In conclusione, vien da domandarsi quanto sia sostenibile un mercato del lavoro in cui i collaboratori sono schiacciati da precariato e sfruttamento e contemporaneamente sono soggetti agli stessi obblighi fiscali di coloro che esercitano già la libera professione in modo davvero autonomo. Questi ultimi, inoltre, come possono avere occasioni di dimostrare le proprie capacità se il bacino principale di riferimento sono quasi unicamente i clienti “privati”, dove la concorrenza, soprattutto riguardo ai compensi, è spietata e senza regole? Non solo dunque tutto ciò sembra che sia insostenibile, ma si registra anche la tendenza a creare un sistema di una selezione “artificiale” in risposta all’eccessivo numero di professionisti.
I giovani professionisti sono sicuramente pronti a partecipare ai sistemi di selezione: tuttavia, come in ogni selezione efficace, affinché si manifesti la ricercata “qualità” – di cui spesso si parla senza cognizione di causa – è necessario che le condizioni di partenza siano uguali per tutti e che non vi siano discriminanti alcune.
[1] Architetti.com. «Architetti italiani, i più numerosi ma tra i più poveri d’Europa», 1 Febbraio 2017, [In rete] https://www.architetti.com/architetti-italiani-i-piu-numerosi-ma-tra-i-piu-poveri-deuropa.html (13 marzo 2019); Micocci S. «Quanto guadagna un architetto in Italia e in Europa», 28 Novembre 2018, articolo pubblicato su: Money.it [In rete] https://www.money.it/quanto-guadagna-architetto-Italia-Europa (13 marzo 2019); Di Fazio M. «Architetta in Svizzera. “In Italia è difficile farsi pagare dai clienti. E trovare lavoro senza l’aiuto di amici e parenti”», 24 Marzo 2019, articolo pubblicato su: IlFattoquotidiano.it/Cervelli in fuga [In Rete] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/24/architetta-in-svizzera-in-italia-e-difficile-farsi-pagare-dai-clienti-e-trovare-lavoro-senza-laiuto-di-amici-e-parenti/5056274/ (25 Marzo 2019). Per ulteriori approfondimenti si vedano i documenti elaborati dal CSAPPC e dal Centro studi del Consiglio Nazionale degli Architetti PPC: CSAPPC-CRESME. «Rapporto 2013 sulla professione di Architetto», Aprile 2013, [In rete] http://www.awn.it/component/attachments/download/84 (15 marzo 2019); CRESME. «Gli architetti italiani». La città del futuro. Roma 2030 l’architettura come risorsa, Architetti Roma Edizioni, Roma, 2017, pp. 34-45 [In rete] https://www.architetti.com/wp-content/uploads/2017/02/cresme-architetti-italiani.pdf (16 marzo 2019).
[2] Fana M, Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza, Roma-Bari 2017, p. XVI: <<D’altra parte, frontiere del precariato come il lavoro a chiamata e il lavoro gratuito si configurano non soltanto come forme di totale estrazione del valore prodotto dai lavoratori […], ma agiscono come strumenti di estremo ricatto: la promessa di un futuro migliore se si è disposti a farsi sfruttare senza mai alzare la testa>>
[3]Ivi, pp 72 – 80.
[4]Ivi, pp XI –XIV.
[5] Professione Architetto, «Le offerte di lavoro» [In rete] https://www.professionearchitetto.it/lavoro/offerte/ (27 Marzo 2019)
[6] Anonimo, Sono un architetto o uno schiavo?, 09-03-2016, Lettere e risposte, Espresso (http://lettere-e-risposte.blogautore.espresso.repubblica.it/), http://lettere-e-risposte.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/09/09/sono-un-architetto-o-uno-schiavo/
[7] Fana M, Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza, Roma-Bari 2017, p. 76: <<Così come ci si accontenta di lavorare oltre l’orario stabilito e continuare a lavorare gratis, ma stavolta sono gli straordinari. O ancora, i week-end trascorsi in casa a lavorare o addirittura in azienda, perché quel progetto deve essere consegnato in tempo, oltre ogni ragionevole limite. L’importante è mostrarsi disciplinati, accondiscendenti, perché chissà, forse, un domani dal part-time involontario potrebbe arrivare un contratto full-time, ma pur sempre a tempo determinato.>>
[8]Deiulis C. Sfide: l’architetto contro il mancato pagamento, 23-03-2019, Christian de Iuliis (https://www.christiandeiuliis.it/), https://www.christiandeiuliis.it/sfide-larchitetto-contro-il-mancato-pagamento/?fbclid=IwAR1TFbRH7_YXPhw_E1NUq_jJzHEwPDS9fNBVrA88U12Cozgw9Pw9BaoUEhQ
[9]Fana M, Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza, Roma-Bari 2017, p. 76: << Ecco ritrovati i rapporti di forza: da un lato c’è chi può avanzare la promessa e dall’altro chi può decidere se fidarsi o no, in un gioco a perdere o a rifiutare.>>
[10]Ivi, p. XI: <<Così, negli ultimi decenni, è andata diffondendosi sempre più la figura del giovane con la partita Iva: libero di solcare i contratti a progetto, le prestazioni occasionali, di non arrivare a fine mese e di non avere diritto al reddito nei periodi di non lavoro.>>
[11] Ivi, p. 21: << Il ricatto scaturisce sempre da quella tensione messa in atto dall’esercito di riserva, le masse di disoccupati alla disperata ricerca di un posto di lavoro>>.
[12] CSAPPC-CRESME. «Rapporto 2013 sulla professione di Architetto», Aprile 2013, p. 91 [In rete] http://www.awn.it/component/attachments/download/84 (15 marzo 2019)
[13] Lazier S., «Labics – Palazzo dei diamanti », 09 Gennaio 2019, articolo pubblicato su: Anthitesi.info [In rete] http://www.antithesi.info/0newf/leggitxt.asp?ID=5858 (25 Marzo 2019).
[14] Art.26-bis comma 2 d.p.p. 11 maggio 2012 n°9-84/Leg
[15] CNAPPC. «No alla centrale unica di progettazione», 14 Dicembre 2018, articolo pubblicato su: Awn.it [In rete] http://www.awn.it/news/comunicati-stampa/7355-lavori-pubblici-cappochin-architetti-no-alla-centrale-unica-di-progettazione (25 Marzo 2019)
[16] Inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 – Relazione del Procuratore regionale Marcovalerio Pozzato, TRENTO, 1 Marzo 2019: «[…]Le amministrazioni pubbliche hanno introdotto, facendo specifico tesoro delle inequivoche indicazioni di questa procura, meccanismi di controllo dell’affidamento di incarichi all’esterno, valorizzando le professionalità all’interno degli enti[…]», p. 6